Vantaggi

Il termine TFR (trattamento di fine rapporto) ti suonerà certamente familiare. In poche parole si tratta della liquidazione che spetta al lavoratore subordinato al momento della cessazione del rapporto di lavoro, a prescindere dal motivo dell’interruzione.

È una somma calcolata annualmente sulla retribuzione lorda del singolo dipendente e accantonata dal datore di lavoro.

Fino a giugno 2018 era possibile ottenere ogni mese un anticipo del trattamento di fine rapporto in busta paga. Dopo di che, per legge, questa modalità è stata abolita a favore di nuove alternative.

Oggi ogni lavoratore del settore privato deve scegliere cosa fare del proprio Tfr, se destinarlo alla previdenza complementare o lasciarlo in azienda.

Opzioni possibili

All’atto di stipula del contratto di lavoro il dipendente dovrà scegliere come destinare il proprio Tfr. Per gli impiegati del settore privato si aprono le seguenti strade:

  • Lasciare il TFR in azienda sotto forma di liquidazione (o presso il Fondo di Tesoreria gestito dall’INPS per le aziende con almeno 50 dipendenti)
  • Destinare il TFR ad un fondo di previdenza complementare. E si può scegliere di farlo anche in un secondo momento: in questo caso il TFR maturato resta accantonato presso l’azienda e verrà liquidato al momento della fine del rapporto di lavoro.
  • Non decidere nulla sul momento. In questo caso vale la regola del silenzio-assenso: il datore di lavoro trasferisce il TFR alla forma pensionistica prevista dai contratti collettivi, salvo diversi accordi aziendali.

Nel caso di presenza di più forme pensionistiche il TFR è trasferito, salvo eccezioni, al fondo pensione a cui ha aderito il maggior numero di dipendenti.

In caso di prima assunzione

Sei al tuo primo impiego nel settore privato o hai appena cambiato lavoro? Apriamo una piccola parentesi per questi due scenari, fermo restando che le procedure sono bene o male le stesse.

Entro sei mesi dall’assunzione dovrai decidere cosa fare del tuo TFR. Attenzione: la scelta di aderire alla previdenza complementare è irrevocabile, mentre quella di lasciare il TFR in azienda può essere modificata in ogni momento.

In mancanza di una scelta esplicita aderirai “tacitamente” al fondo pensione previsto dal contratto collettivo di lavoro, ed è qui che confluirà il tuo TFR.

Procedura in caso di nuovo rapporto di lavoro dipendente

Se nel precedente rapporto di lavoro avevi deciso di lasciare il TFR in azienda, il nuovo titolare si atterrà a seguire questa disposizione. Potrai comunque rivedere la scelta presa a suo tempo e conferire in ogni momento il TFR futuro a una forma pensionistica integrativa.

Se invece hai già aderito ad un fondo pensione ma non hai riscattato interamente la somma maturata in precedenza devi indicare al nuovo datore di lavoro a quale fondo pensione intendi conferire le quote di TFR maturando. Anche in questo caso hai a disposizione sei mesi dalla data di assunzione per manifestare la tua preferenza.

Come funziona?

La previdenza complementare, disciplinata dal D.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252, rappresenta il secondo pilastro del sistema pensionistico e ha lo scopo di integrare, come si evince dal nome stesso, la previdenza di base obbligatoria.

Per un lavoratore dipendente una delle fonti di finanziamento della previdenza complementare può essere proprio il trattamento di fine rapporto. Ma come funziona a livello fiscale?

Deducibilità

Ogni anno è possibile dedurre dal reddito dichiarato ai fini IRPEF fino a 5.164,57 euro di contributi alla pensione integrativa, compresi gli eventuali contributi versati dal datore di lavoro, deducibili al pari di quelli personali.

Nel totale di quanto versato non deve essere considerato l’eventuale TFR conferito al fondo pensione: non è deducibile in quanto non considerato reddito imponibile e al tempo stesso non viene conteggiato nel tetto massimo previsto.

Perchè non lasciare il TFR in azienda?

Giusto o sbagliato che sia, il mercato del lavoro non è più lo stesso: si cambia posto di lavoro con molta più frequenza che in passato. Ogni volta che avviene il cambio, il TFR viene liquidato e tassato, dunque il suo ammontare può non essere più il risultato di un accumulo di oltre 30 anni di lavoro.

Tassazione

Il TFR, se lasciato in azienda, è soggetto ad una tassazione maggiore rispetto ai fondi pensionistici integrativi. In azienda si ha tasso minimo al 23%, mentre per il fondo pensione minimo 9% e massimo 15%. Non rappresenta inoltre un esborso economico ulteriore né per il datore di lavoro né per il dipendente.

Facciamo un esempio: Mario e Francesca sono due colleghi coetanei. Hanno entrambi 67 anni, sono stati assunti più di 35 anni fa.

Mario ha scelto di lasciare il suo TFR in azienda, accumulando un capitale di circa €70.000. Negli ultimi anni ha ottenuto un aumento di stipendio (generalmente a fine carriera si raggiunge il picco massimo). Ha una aliquota Irpef del 38% e il suo TFR verrà tassato al 38%. Francesca invece ha trasferito sin da subito il suo TFR in un fondo pensione: al momento della pensione il suo capitale accumulato sarà tassato al 9%.

Riscatto

L’anticipo di una parte del TFR lasciato in azienda si può chiedere solo una volta. Con il fondo pensione esiste invece la possibilità di riscattarne una parte anche in più tranche, valutandone i casi specifici.

Nel corso degli anni può sorgere infatti la necessità di attingere a un capitale per fare fronte a varie esigenze come l’acquisto di una casa, la sua ristrutturazione, un aiuto economico per l’avvio dell’attività di un figlio, e così via.

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